22 Febbraio 2007
Il Castrum di Eircte analisi territoriale delle strutture militari fenicio-puniche sui Monti di Palermo
L’accresciuta attenzione verso problematiche ambientali, ha condotto gli studiosi, di diverse discipline, ad indagare le Fonti storiche attraverso metodologie scientifiche attinenti anche ad ambiti Geoarcheologici.
I risultati ottenuti hanno nella maggior parte dei casi, ricostruito i paleo-ambienti della storia umana.
Il metodo "interdisciplinare" è stato per la prima volta, applicato ad i un
rebus storico panormita, ovvero la ricerca del
Castrum punico o fortezza di
Eircte, perno militare della difesa militare fenicio-punica, di
Panormus nel 254 a.C.
Il risultato è stato determinante per una prima trattazione scientifica delle Fonti, che attraverso la griglia geomorfologica, ha avuto modo di individuare il contesto territoriale narrato.
Il testo utilizzato per la ricerca, e’ stato individuato in Polibio I, 56 fonte preziosa di una descrizione di geografia fisica e in Diodoro XXII, 10.
In Polibio, la descrizione geografica, indica un toponimo, -
approdo Presso-Eircte- e un -
poggio,- acropoli, punto di osservazione- che caratterizza il territoritorio, inteso nella sua interezza di “monte-mare”, di fatto sfondo alla storia che viene tramandata.
In Diodoro, s’individuano gli aspetti militari del luogo: una roccaforte imprendibile denominata f
ortezza di Eircte; castrum di Eircte.
Indagine storico territoriale nella Regione di Panormus alla fine della
Prima Guerra Punica 264 -240 a.C.
Il periodo al quale si fa riferimento per le vicende storiche occorse al territorio di Palermo è quello dell’ultima permanenza punica nell’area, a seguito dell’ormai annosa guerra di conquista, del territorio siciliano tra Roma e Cartagine.
La presa di
Panormus, che era la città più importante del dominio cartaginese, (Polibio I 38.7) si può indicare come spartiacque, per la fine del dominio economico politico territoriale, in quei luoghi che avevano visto sorgere, intorno al VII a.C. gli emporia delle colonie fenice.
All’alba della Prima Guerra Punica (264 a.C.-240 a.C.), i siti rivieraschi d’influenza punica, erano ben presenti sulle coste siciliane, dalle isole dello Stagnone il cui centro rilevante di
Mothia risultava ancora attivo e di seguito:
Lilybeo, Drepano, Egitallo,
Eryx, sino al capo saldo di
Panormus e oltre,
Solunto.
I centri interni, dell’areale elimo-punico, che s’attestava tra Erice a Nord e Rocca Nadore a Sud, e ad Est arrivava oltre gli estremi di monte Porcara sull’Eleutero, fino a Mura Pregne, risentivano della posizione forte assunta da Segesta che già da oltre un secolo aveva dovuto far fronte alla difesa del proprio territorio, minacciato dai Greci di Selinunte.
Presumibilmente così non era per il ”contesto Sicano", con realtà ancora non ben evidenziate, ma presenti lungo un’importante direttiva viaria, che dal mare, golfo di Carini arrivava a Corleone. Questa percorrenza che per convenzione di riconoscibilità, è stata definita “direttrice traversa” interessava i centri di
Hyccara-Petra -Iato-Skera-Makella-Solunto, siti sottoposti al diretto dominio punico-panormita, e facente parte di una
Regione di Panornus, vasto areale inquadrabile tra il fiume Iato e oltre le radici dei monti a Sud-Ovest di Palermo, con punta sul fiume Eleutero.
Il
Territorio di Panormus, identificabile dal limite della corona dei Monti di Palermo, si potrebbe definire l’areale interno ed esterno al sito cartaginese, che a Nord/Nord-Ovest offre la punta a mare, fino alla penisola di Isola delle Femmine-Punta Catena, mentre a Sud/Sud-Est ha definizione nel monte Grifone a Punta Sferrovecchio, corrispondente sulla costa nei pressi di Romagnolo.
Le vie di penetrazione alla
Regione di Panormus, provenivano dagli insediamenti sul mare più a meridione della parte occidentale siciliana, Selinunte,
Lilybeo, Drepano, passando per l’interno, Segesta, che avrebbe avuto il ruolo di crocevia, di smistamento tra la costa e gli assi viari interni.
La viabilità che da Segesta conduceva alla Piana di Partinico, confluiva da una parte con quella proveniente dal mare, dello scalo di San Cataldo, lungo il fiume Nocella, passava poi, per Montelepre, quindi per Portella Sant’Anna.
E’probabile che questo sia uno dei principali percorsi “diretti” tra il Golfo di Castellamare, e il golfo di Palermo, rispettivamente indicati quale sede dell’emporio segestano e dell’emporio panormitano.
Inoltre dal fiume Iato, (Bidis) si aveva l’ingresso al Territorio di Iato e oltrepassata la Portella della Targia, si era già nella Valle dell’Oreto.
Si riconoscono quindi, alcuni assi di viabità primaria al Territorio di Panormus.
La prima, con provenienza Partitico-Montelepre, che a Portella Sant’Anna si biforcava, il braccio principale seguiva il Vallone del Paradiso e arrivava a Boccadifalco; l’altro proseguiva verso Nord e arrivato a Portella Torretta si congiungeva con quello proveniente dalla Piana di Carini, il braccio principale si biforcava e proseguiva per la Scala di Carini e discesa fino a Passo di Rigano, mentre il tratto che proseguiva verso Nord dava l’accesso al complesso montuoso del Billiemi attraverso il
Piano Vurraina e il Passo del Trippatore.
Sempre con viabilità Partitico (Borgetto), si aveva inoltre una prima penetrazione nella valle dell’Oreto, attraverso la Portella di Sagana.
La seconda, interessava la Valle dell’Oreto e proveniva dal Territorio di Iato attraverso la Scala della Targia, inoltre tutte le unità montuose a corona tra Palermo e Iato sono sedi di accessi e/o Portelle, di rilievo.
In conseguenza di tali percorsi, i monti di Ovest possono essere suddivisi in quattro blocchi:
1- di Monte Billiemi; 2- di Monte Cuccio; 3- di San Martino-Monreale; 4- dell’Oreto.
Dall’analisi degli assi di viabità primaria al territorio del sito
Panormus è possibile cogliere due aspetti fondamentali: la viabilità di Portella Sant’Anna e della Scala di Carini davano accesso largamente alla Piana di Palermo dal lato di Nord-Ovest, prima di arrivare alle porte della città, mentre l’asse di provenienza dalla Valle dell’Oreto, immettevano direttamente alla città.
Dalla indagine morfoterritoriale, rilevata tra la costa di Carini e la baia di Sferracavallo, nonché le indicazioni geomorfologiche provenienti dal monte Billiemi, comprensivo dei suoi accessi principali, è parso plausibile formulare una verosimiglianza tra i luoghi citati ed i passi di descrizione geografica del
Territorio di Panormus relati dagli autori antichi, inoltre l’analisi del termine
Eircte(s), (le fonti, riportano ad una desinenza plurale), nella sua accezione etimologica, ha rivelato che l’indicazione originaria ad esso attribuito, di "prigione", indicativo di luogo chiuso, non era esaustivo, spaziando nelle definizioni, risultarono più consoni i significati:
-chiudere, racchiudere, recingere, riservare, chiudere fuori, serrare, escludere, limitare, respingere, tenere lontano, allontanare, impedire, trattenere, proibire, da non profanare.
Significati propri di "limite" ora interpretato quale indicazione di "confine".
Pertanto risulta sostenibile che:
…il luogo chiamato Presso Eircte…è il luogo denominato "Presso il Confine", e relativo al plurale è determinato in: Presso i Confini.
Da ciò:
- una Regione di Panormus, tra il fiume Iato e il Territorio di Solunto;
- un Territorio di Panormus, luogo racchiuso dai monti e il mare comprensivo del
territorio interno della Piana di Palermo;
- che "Presso Eircte", sia la definizione di limite, o confine(i) del Territorio di
Panormus;
- che monte Billiemi sia il monte di confine del Territorio di Panormus con propaggine
a mare;
- che Presso Eircte, ovvero "Presso i Confini" sia il luogo di costa dove approdare la
flotta e stanziare l’apparato militare punico a “sostegno delle truppe”, individuabile
nell’ampio litorale tra Baia di Carini-Baia di Sferracavallo, in cui far corrispondere nel
dettaglio i piccoli approdi della penisola di Isola delle Femmine, della Cala, di
Sferracavallo, di Barcarello e di Pietra Tara, presso il Malopasso di Capo Gallo.
Quindi, la prima parte dell’indagine determinò che il territorio monte-mare citata dalla fonte fosse il limite estremo delle punta Nord-Ovest dei Monti di Palermo, il cui
topos, è indicabile nel complesso montuoso del Billiemi, per altro, di gran lunga più grande, (in proporzione di tre a uno) e più alto, (in proporzione di due a uno) degli altri due monti isolati della Piana di Palermo, il Pellegrino e il Gallo.
Indagine topografica dei Pizzi del Billiemi
Il massiccio del Billiemi appartiene alle U.U. S.S. di monte Gallo - monte Palmeto, è un rilevato calcareo i cui terreni sono ascrivibili al Lias Inf.-Trias Sup., ha andamento morfologico nettamente distinguibile dai monti vicini essendo costituito, nella sua unità geografica, da una figura geometrica tringolare la cui base e altezza si equivalgono in dimensione, cinque chilometri circa.
Il vertice del triangolo è disposto a mare, Nord/Nord-Est, ed è rappresentato dall’immensa faglia del Vallone della Cala, i cui lati a mare di Punta Catena e punta Matese definiscono l’ansa o approdo della Cala mentre i lati, fianchi del monte si affacciano ad Sud/Sud-Est nella Piana di Palermo, ad Ovest/Nord-Ovest nella Piana di Carini-Capaci.
Il fianco che si affaccia nella Piana di Carini-Capaci presenta inaccessibili pareti strapiombanti, formate da alte falesie, originate da frane da crollo, il fianco che guarda la Piana di Palermo presenta un andamento ad irti mammelloni determinate da faglie ad andamento Nord-Sud ed Est-Ovest. La base del triangolo è definita da tozze falesie che si raccordano con il Vallone Zarcati ad Ovest, ad Est con il Vallone Celona, tra i quali si ha al pianoro di montagna denominato
Vurraine.
Il complesso montuoso viene ad essere definito quasi come un rilevato triangolare che a quota mt. 450-500, presenta dei tavolati o pianori, dai quali si elevano, come colline isolate lungo la bisettrice Nord-Sud le cime: Pizzo Manolfo, mt.763; Cozzo Subbaco mt.807; Pizzo di Mezzo mt.852; Pizzo Castellaccio n.890; Cozzo San Rocco mt.733. Si ha così, che la superficie della figura geometrica triangolare è traslata tra quota mt. 400 e mt. 500, il cui periplo, corrisponde a diciotto chilometri circa.
I pizzi sono intervallati dai Pianori: Piano dell’Aia; Piano Subaghieddu; Piano Cardone, Parmitaneddu; Piano Subbacu; località Trippatore, essi presentano andamento concoide nei quali ristagna l’acqua.
Il documento più antico ritrovato e che menziona il Billiemi, di Palermo, appartiene alla Arcidiocesi di Palermo e tratta dell’acquisto, nel 1190, da parte di Gualterio Arcivescovo della città di Palermo, di metà del monte.
Si tratta di un documento d’acquisto, che riporta dettagliatamente i limiti dei confini, i cui capi saldi rientrano nella toponomastica del Monte. La menzione nel documento di una
Culea-Culaeae, piccola e/o piccole acropoli,
arxs e/o piccola/e fortezza/e convinse dell’esistenza di luoghi ove fosse possibile individuare l’inizio di una indagine.
Per accedere ai pianori del Billiemi, a quota mt. 445-500, il Vallone Zarcati è viabilità primaria. Il punto di arrivo del Valone è il tavolato
Vurraine che superato il restringimento tra Pizzo Castellaccio e Pizzo Cardillo, immette al Trippatore, porta pricipale, da terra, del complesso montuoso.
Su Pizzo Castellaccio, a quota mt. 890, sotto la spianata prodotta dalle ruspe del Demanio Forestale per allocarvi la torretta d’avvistamento, si rinvennero avanzi di poderosi muri a secco, la cui larghezza resta intuibile in almeno due metri.
Essi circondano la sommità di Pizzo Castellaccio, che non supera per superficie, mille metri quadrati.
E’ percepibile la tecnica costruttiva a doppio paramento, tessuto che ha seguito l’andamento del Pizzo, utilizzando massi di dimensioni, cm. 0.60-90 di diametro, inseriti tra i grossi blocchi affioranti sul Pizzo.
L’indagine proseguì sulla cima di Pizzo di Mezzo e il suo omologo più piccolo sopra Piano Subbaco, quindi Cozzo Subaco e Pizzo Minolfo, Cozzo di Paola, Cozzo San Rocco, inoltre nel territorio limitrofo il perimetro del Billiemi, su Pizzo Cardillo, Cozzo di Lupo, Cozzo Scalilli, e nell’entroterra di Piano San Nicolò su Cozzo Frumento.
Essa portò al rinvenimento, su tutti i pizzi del complesso montuoso Billiemi e zone limitrofe, di rilevati a doppio paramento, piccoli e grandi, indicabili in strutture di avvistamento di difesa militare, inoltre si ritrovò una grande
arx-acropoli-qulaya-fortificazione, tutti sinonimi di luogo forte militare, o
frourion, assimilabile alle fonti: acropoli in Polibio e/o castello-fortezza in Diodoro.
Cozzo San Rocco
Cozzo San Rocco, mt .605, non appartiene alla catena dei Pizzi che si susseguono da Nord verso Sud, da Pizzo Minolfo fino a Cozzo di Lupo, (Bellolampo), ma appare quale colle conico isolato sotto il Pizzo Castellaccio.
S’innalza dal Piano Cardone con irte pareti, con pendenza superiore a 47° mentre la zona sottostante il suo cocuzzolo, in direzione Sud/Sud-Est, nel verso di Pizzo del Monaco, presenta un netto andamento pianeggiante.
L’accesso al suo vertice avviene dal Trippatore, con una “via” di circa due metri di larghezza facilmente individuabile nel terreno, che conduce alla massima quota di
mt. 735,50.
A metà costa lungo la strada segnata ai margini, da filari di pietre allineate, s’intravede sulla punta, un lungo muro di fortificazione. La cima del colle appare, tutta nel suo perimetro, interessata da una cinta muraria, realizzata con muri spessi più di un metro, ed alti altrettanto, che hanno ricucito tutte le asperità del cocuzzolo.
La sezione dei muri è trapezoidale e presenta la tecnica a doppio paramento murario a secco, di conci calcarei più rinforzati alla base e all’esterno, pietrame più fino all’interno e rinforzati ugualmente all’esterno. Nel muro di Nord-Ovest si trova un varco, non pertinente al rilevato, che permette l’accesso.
La figura geometrica racchiusa dal perimetro delle mura, ha andamento Nord-Sud ed è assimilabile ad un poligono irregolare, con un angolo acuto diretto a settentrione.
All’interno quasi al centro del poligono si rinviene, da Ovest verso Est uno sfalsamento della quota che s’innalza a gradino da mt. 730 a mt. 30,66 e porta il calpestio ad assumere l’aspetto di diversi ambienti, difatti nella zona più prossima al vertice, un grosso muro di divisione, i cui blocchi giustapposti ad incastro superano in dimensione il diametro di settanta centimetri, ne evidenzia la reale consistenza.
Entro il muro del perimetro occidentale vi è una turricola quadrangolare dai muri possenti, (larghi poco più di un metro e alti 1,50 circa), con una piccola nicchia. La superficie del calpestio è interessata da frammenti di terracotta.
Dal lato di Levante s’intravede un sentiero che conduce al pianoro di Billiemi sottostante, ove si scorgono i segni sul terreno di strutture squadrate.
Dal lato di Nord la fortificazione è più possente ed alta e continua su tutto il bordo della cima, sotto il suo prolungamento, immediatamente a quota più bassa mt. 730,00 vi è una cisterna.
La cavità presenta una parete addossata al colle, mentre gli altri lati seguono un andamento semi arcuato, le cui pareti scavate nel terreno, sono costituiti da un muro a doppio paramento. Il lato della cisterna addossato alla parete del colle presenta una escavazione sotto la parete stessa, l’adduzione dell’acqua piovana alla cisterna avveniva per “ruscellamento” da solchi e canali naturali utilizzati nella roccia da tre punti distributori, addossati alla parete rocciosa. In qualsiasi periodo dell’anno si visiti l’acropoli, si nota nei pressi delle balze della cisterna una rigogliosa macchia di vegetazione, segno della raccolta di una zona umida al suo interno.
Lo spettacolo paesaggistico che si osserva dall’
arx di San Rocco non ha punti eguali sul Billiemi. Né ha uguali, dal Pellegrino né da Capo Gallo.
Dalla cima di Cozzo San Rocco si ha in unico colpo d’occhio, la visione di Capo Gallo e di Solunto, il Pellegrino è osservabile in tutta la sua lunghezza, dall’alto, infatti è visibile tutto il pianoro sommitale, dal Gorgo Rosso al castello Utveggio. La piana dei Colli è interamente visibile, dal Gallo alla Citta e la Città, con l’approdo della Cala appaiono nette e vicine.
L’indagine topografica del grande pianoro di Isca, racchiuso tra Cozzo Billiemi, Cozzo di Paola e lo sbarramento verticale delle liste di Pizzo di Mezzo, ha restituito le testimonianze di un sito e di una necropoli del IV sec. a.C. Per la verità quel che rimane dell’insediamento e della necropoli, dopo i lavori per allocare nei pressi dei tralicci elettrici, con conseguente “espansione edile” ad oggi fortunosamente ferma.
Lungo il tratto della viabilità, che da Montelepre conduce prima a Portella Sant’Anna e poi a Portella Torretta e che passa entro il Piano di San Nicolò - Serra dell’Occhio, insistono i siti di Monte d’Oro e Cozzo Ciaramita. Le ricognizioni effettuate nel Piano di San Nicolò e sulle propaggini dei due opposti rilievi hanno evidenziato rilevati architettonici, le cui caratteristiche sono assimilabili a quelle osservate per il complesso del Billiemi, ovvero piccole
arxs con prospettiva ottica intercomunicante. L’
arxs di Cozzo Frumento si trova quasi al centro del Piano di San Nicolò, la sua posizione permette una visione diretta di tutta la viabilità proveniente da Monte d’Oro (Hyccara) e diretta a Portella Sant’Anna, ed è vicinissima al piccolo sito di Cozzo Ciaramita.
L’
arx di Cozzo Frumento, ad oggi è pressoché integra, pertanto presenta una unicità per una sua eventuale analisi, topografica, archeologica, storiografica.
Le architetture militari ad Occidente di Panormus
Il risultato della ricerca di campo effettuata, sul complesso del Billiemi, ha portato al rinvenimento di strutture fortificate, corrispondenti al IV-III sec. a.C., stante i resti ceramici e monetali di superficie ivi ritrovate (i reperti sono stati tutti consegnati alla Soprintendenza ai BBCCAA di Palermo nel 2005).
Su tutti i Pizzi, del complesso montuoso Billiemi, sono state trovate "fortificazione-arx" esse si dispiegano in modo tale che, il monte appare nella sua integrità d’avvistamento e difesa, fornito di un apparato militare formidabile. Nello specifico insiste, fra loro, una corrispondenza ottica, atta a vigilare su una porzione del territorio della città di
Panormus, lo stesso per il territorio interno, di provenienza Segesta e costiero, di provenienza
Lilybeo-Drepana. Si tratta di un vero è proprio controllo territoriale militare, della viabilità interna, con provenienza
Lylibeo-Segesta e di avvistamento e controllo costiero (rotta Lylibeo-Italia).
Inoltre, funge da ripetitore per il territorio proprio della città, in cui le altre due unità montuose ad Occidente, Monte Gallo e Monte Pellegrino contribuivano al percorso di avvistamento, lungo la costa sino a Solunto e oltre.
Il rinvenimenti delle piccole
arxs ha permesso una analisi di avvistamento e comunicazione, propedeutico alla difesa della città di
Panormus, di fatto il complesso di monte Billiemi viene a configurarsi entro un Sistema di “luoghi Forti” e/o
frourion e/o “arxs fortificate”, i cui punti di forza si individuano in Pizzo Castellaccio; Pizzo Minolfo e Cozzo San Rocco, Cozzo di Paola, databili tra il IV e III sec. a.C.
Il Sistema di Fortificazioni di monte Billiemi ha forti analogie con le opere di difensiva militare Puniche della Sardegna. Esso s’inserisce però, entro un quadro di difesa localizzata al territorio della città di Panormus, definendo in ultimo, le opere militari del confine a partire dal mare ad Occidente della città.
Il "frouion di Cozzo San Rocco" appare quale esempio di architettura militare fenicio-punica per la prima volta rilevabile per la Sicilia, nella sua interezza di fortezza munita, “ubicazione su alture non elevate, sommità pianeggianti e fianchi scoscesi, impianto di un grosso forte, impropriamente denominato acropoli, a pianta allungata o ellittica, posto nel luogo meno accessibile, al quale si accompagnava un abitato di carattere civile più o meno esteso, di secondaria importanza rispetto al complesso militare”
(cfr. F. Barreca,
Architettura e Urbanistica in
Sardegna Archeologica).
Alla luce di quanto sino ad ora detto, il trattato di pace tra i Siracusani e i Cartaginesi (374 a.C) diviene momento fondante, per la Epikrateia di Sicilia, intesa come territorio unitario sottoposto al dominio di Cartagine, che potenzia le guarnigioni già esistenti di difesa del territorio cartaginese, nel momento in cui i cartaginesi e siracusani fissavano un confine preciso tra le rispettive aree, e soprattutto Cartagine prendeva ufficialmente possesso di territori precedentemente greci, era logica conseguenza per la città nord africana rafforzare la presenza militare, soprattutto nelle aree di confine, come le testimonianze archeologiche sembrano sottolineare.
Del resto la presa di possesso territoriale, con la evidente demarcazione di limite si rileva quando avviene la creazione di una catena di centri e di roccaforti cartaginesi tra il Platani e il Balice…che costituiscono una linea articolata lungo l’asse Minoa-Thermae e quindi
Solus-Panormus.
Va da se che, anche il "Territorio di Panormus", che era entro il perimetro dei suoi monti, necessitava di una maggiore azione di difesa, si impiantano così, o meglio si potenziano quei luoghi preposti all’avvistamento in corrispondenza degli accessi viari, il sistema di difesa era possibilmente coordinato da una "fortezza-frourion" o guarnigione o quartiere generale principale, posto nel luogo più difeso e con maggior raggio di visione.
Stante la bibliografia tramandataci da Diodoro Siculo, in cui si nomina: guarnigioni cartaginesi (XIX 107,1); presidi cartaginesi (XX 56,3); castello (XXII 10,3 Eircte); fortezze (XIV 102,8); e cinte murarie fortificate, si può concettualmente ora avviare una diversificazione, tra cinta muraria della città e luoghi forti.
La differenza tra l’una e l’altra struttura di difesa è altamente significativa.
Mentre con la fortificazione della cinta muraria si delimita il territorio della città, i luoghi forti militari presidi o/e i castelli-fortezza-
frourion, definivano l’intorno territoriale militare di appartenenza al sito stesso.
La conquista di una città non era sinonimo di presa del suo territorio (vedi la possibilità di movimento di Amilcare per la ripresa della città) e significativa risulta la menzione di Diodoro dalla presa di
Panormus da parte di Pirro:
"Pirro la prese con la forza, e quando si fu impossessato anche della fortezza di Eircte, ebbe così conquistati tutti i possedimenti cartaginesi".
Esempio per tutti, è la richiesta che Agatocle avanza per la resa a Deinocrate (Diodoro XX 77) il quale chiese però che gli fossero date due fortezze,
Terme e Cefaledio con i loro territori.
Infatti è solo con la resa delle roccaforti militari o fortezza-
frourion che avveniva la vera sconfitta.
Il caso del "castello e/o fortezza di Eircte" rientra nella sfera di luoghi forti o fortezze, di presidio cartaginese, in ciò la sua importanza quale caposaldo strategico a confine del territorio della città di
Panormus.
L’assalto al confine e la sua presa, avrebbe in ultimo avuto il significato “della presa dello scacchiere militare”, che presa la Regina,
Panormus, si ha Scacco al Re.
E tale dovette rappresentare la perdita dei castra-arks di Eircte, per la Epikrazia Punica in Sicilia.
La fortezza di Eircte, ultimo baluardo dei confini di Panormus e la fine permanenza punica in Sicilia.
Le informazioni pervenute da questa prima indagine morfoterritoriale, della città di Palermo e relative all’ultima permanenza Punica nella sua area, conducono necessariamente alla rilettura delle fonti, dalle quali ora è possibile trarre nuove considerazioni di ordine storiografico, nonché a formulare nuove ipotesi sui fatti narrati, a partire della presa di Palermo da parte dei Romani, 254 a.C. ed il primo tentativo infruttuoso di rivalsa, del caposaldo cartaginese, da parte di Asdrubale 251 a.C. e dell’impresa di Amilcare Barca presso i "confini - Eircte" nel 248 a.C.
Asdrubale valicò i confini del territorio di
Panormus, attestati dai monti del complesso del Billiemi e da Portella Torretta, scese per le strettoie della Scala di Carini nel "Territorio di Panormus", accampandosi oltre il margio, sotto Cozzo S. Isidoro.
L’ampia zona tra Boccadifalco, San Ciro e la necropoli punica di Corso Calatafimi risulta idonea, per i rialzi nelle quote, quale zona del "Territorio di Panormus" occorsa per lo stazionamento del
castra romano.
Un fiume, lo
Halcu individuato nelle acque scendenti dal Vallone di San Martino-Boccadifalco, (Gabriele e sorgive) poneva l’accampamento in condizioni di sicurezza ottimale contro l’attacco nemico, di una battaglia in cui la guarnigione Romana poteva contare di 30 manipoli, la cui speciazione di settore era notevole, contro un forza di 140 elefanti e un esercito, che a detta delle fonti raccoglieva le unità militari di
Lylibeo ed Eraclea.
L’ipotesi qui formulata, racchiude punti significativi, che inducono ad allargare la visione non ben chiara nelle fonti, dei contorni del sito
Panormus.
La città si stendeva tra la Porta del Mare e quella del suo entroterra, lungo un asse viario continuo che dalla costa, portava alla campagna ed oltre. I punti più deboli nella difesa muraria a questo punto erano i due ingressi, conseguentemente queste, dovevano essere state interessate da opere di fortificazione adatte. Tralasciando la linea di costa e l’ubicazione portuale, vero punto debole del territorio di
Panormus, la Porta di Terra, (che si apriva nell’intorno dell’attuale piazza Indipendenza), in verità, potrebbe a questo punto risultare la vera porta di ingresso alla città, visto la percorrenza della viabilità interna in rapporto ai siti più lontani.
Una porta, larga mt. 5,18 ben munita, fiancheggiata da due possenti torri larghe
mt. 9,73 potrebbe non essere sufficiente a fermare attacchi poderosi, per una città di tale importanza.
Per similitudine di impianto topografico,
Panormus ha la sua gemella, nella città punica di monte Sirai in Sardegna . In una comparazione topografica tra i due siti, la difesa militare assicurata da una “opera avanzata” a Monte Sirai, potrebbe essere ipotizzata anche per il sito di
Panormus. “L’opera avanzata” agevolata dai naturali fossati, nei due lati, dal Vallone del Torrente Kemonia a destra e dalle risorgive e margio del Papireto a sinistra, avrebbe sbarrato la porta e salvaguardato la città dagli attacchi alla sua porta principale.
E’ verosimile pensare che Asdrubale, nel primo assalto per la ripresa del sito ai Romani, non seguì la via diretta alla città, di provenienza interna, ovvero “Halcu-Boccadifalco”, perché in difficoltà tra la necropoli punica e il castra Romano, inoltre sarebbe stato poco proficuo attaccare dal lato più difeso. Percorse possibilmente quello che rappresentava invece il lato debole Romano, l’attacco di fianco dalla Piana, ancora in mano cartaginese visto la facilità con la quale entrò nel territorio di
Panormus da “cammini angusti”, guidato e protetto nello stesso tempo dalle fortificazione o “presidii militare” dei "Confini-Eirctes", che si apprestava a valicare.
La Prima Battaglia punica per la ripresa di
Panormus fu tutta dettata dalla strategia militare Romana, nella descrizione di Polibio e di Diodoro abbiamo la netta definizione della tattica adoperata: innervosire il nemico, costringerlo a disporsi ordinatamente affinché Cecilio potesse avere una visione completa dell’attacco che avrebbero condotto.
I Punici da canto loro, facilitarono molto la tattica Romana, seguendo pedissequamente l’obbiettivo, il furore e l’orgoglio di rivalsa furono gli ingredienti adoperati, così Cecilio disposto il primo attacco frontale, gettò nello scompiglio entro il fossato gli elefanti, uscì, nel modo classico delle tattiche militari Romane dalla porta laterale dell’accampamento, in questo caso la sua destra, ala sinistra dello schieramento avversario e con i veterani ebbe ragione della battaglia catturando i 10 famosi elefanti.
L’ultimo tentativo cartaginese, questa volta da parte di
Abdmelqart Barqa ha percorso diverso, inizia dal mare luogo presso il confine del territorio di
Panormus, ove sbarca e pone in sicurezza i “legni” e le truppe. Il luogo ha tutte la caratteristiche necessarie ad una lunga sopravvivenza per gli eserciti, è zona pianeggiante, con foreste e acque dolci protetto da un monte inaccessibile (Billiemi), che ha il grande pregio di avere ancora saldo nelle mani la “fortezza dei Confini”, un’acropoli ove è possibile osservare i movimenti delle truppe romane nella Piana e di controllare i passi di accesso dall’entroterra, questo, inoltre è ben posizionato lungo le rotte che da Cartagine conducono in Italia, ovvero lungo la rotta di navigazione che da Carthago conduceva in Sardegna, vero obiettivo dei possedimenti Cartaginesi in Mediterraneo, che dalle miniere di ferro e argento del Sulcis, traevano i minerali principali per le loro attività di commercio.
La accurata scelta dei luoghi da parte di Amilcare, indicano una conoscenza territoriale ben salda e riferibile ad una difesa militare, già presente in loco, ben più lontana dei fatti narrati da Polibio e attestati agli anni in cui i Cartaginesi dovettero potenziare la difesa del territorio a seguito dei tiranni siracusani.
L’ipotesi è che il campo di “battaglia”, di
Abdmelqart, fosse sotto le propaggini più prossime alla città tra i due monti, il Pellegrino e il Billiemi, stante la netta ubicazione di Cozzo San Rocco, fortezza militare principale dalla quale era possibile seguire tutte le vicende militari. La condizione non era indifferente, infatti la forte posizione poneva i punici con le spalle salvaguardate da un territorio ancora sotto il loro dominio, dei due rilievi sopra detti.
I rinvenimenti archeologici della Montagnola di Santa Rosalia (sopra Uditore) e il sito di fondo D’Aguano-Belmonte all’Acquasanta, nel cui mezzo è posizionato il così detto pozzo Edison, nel cui interno sono state rinvenute lettere dell’alfabeto Libico potrebbero in ultima analisi determinare una linea ipotetica ideale sulla quale si attestò la “guerra di trincea”, di mantenimento del territorio dell’una e dell’altra parte.
La ripresa di
Panormus, aveva per i punici importanza vitale, se Amilcare conduce una vera e propria guerriglia di nervi, corpo a corpo per quasi tre lunghi anni, finchè, forse accortosi del pericolo incombente, o per procurare una vincita all’esercito stanco, decide l’ennesimo diversivo, attaccare i Romani dell’Erice.
Fatale decisione, che si concluderà con la grande sconfitta della flotta cartaginese a largo delle Egadi.
Sconfitta che sancirà la conquista della "Regione punica di Panormus" da parte di Roma facendo passare di mano, al nuovo conquistatore, l'isola di Sicilia.