04 Novembre 2005
Il Monolite di Pietra Tara
Lo guardi e pensi che sia così da sempre. Eterno e brullo. Perfino quelle case, quelle ville. Quella che chiamano la collina del disonore, sembra esserci da sempre. Monte Gallo è muto, però, per chi non vuol sentirlo. La passione e la tenacia di due studiosi, due cultori di archeologia, rivela ora le voci di dentro di una montagna che potrebbe perfino custodire il segreto di un abitato risalente al secondo-primo millennio, all’Età del Bronzo. Più che una scoperta, un’ipotesi di lavoro. Alla quale la comunità scientifica locale, con Sebastiano Tusa in testa, risponde assai scettica. Ma che scatena però entusiasmi e curiosità fuori. Così oggi al convegno organizzato da Francesca Mercadante e Pippo Lo Cascio, marito e moglie nella vita, coppia di infaticabili archeologi per passione, viene l’autorità di Emmanuel Anati, lo studioso delle incisioni rupestri della valcamonica e delle scoperte di Malta a dire che sì i due hanno visto giusto. L’occasione è un incontro di studio, organizzato dall’Associazione Mirto Verde, in collaborazione con l’Assessorato ai Beni Culturali allo Steri, per oggi pomeriggio. Nel corso dell’incontro, si parlerà di quella che per prima Francesca Mercadante, chiama “un’ipotesi di lavoro”, frutto delle indagini conoscitive sul sito di Pietra Tara e che per Tusa è “una bufala”. Si tratta di un pianoro di cinquemila metri quadrati, su un fronte di oltre due chilometri, lungo il versante della montagna che guarda il mare a Barcarello.
Giù per 15 metri, il dirupo di una costa battuta dal mare e dalle correnti. Ma più giù ancora visibili, c’è un muraglione punteggiato di massi enormi con la faccia a mare. A guardarlo dall’alto, il pianoro è un reticolo di camminamenti e di ambienti delimitati da muri a secco. Sette se ne vedono con i confini chiusi da muri che separano gli ambiti. Per ciascun ambito, per ciascuna zona, la riproduzione di elementi costanti. Prima fra tutti, costruzioni simili a cappelle funerarie, con due montanti e una trave a chiudere rigidamente obliqua, a disegnare un angolo con il vertice rivolto al cielo che si ripropone in tutte costruzioni che punteggiano le delimitazioni. “Grotticelle” appunto dice Mercadante. Sette ambiti individuati e rappresentati in un montaggio fotografico che è il risultato di una veduta aerea della sommità della montagna, il più importante è Pietra Tara. Qui la costruzione centrale sembrerebbe richiamare i dolmen, con la riproduzione degli elementi delle grotticelle in scala ingrandita, in asse con Pizzo Sella. Di fianco, una pietra squadrata e un rilievo. Difficile non farsi suggestionare dell’idea che ci si trovi davanti a un letto funerario, coerente con l’idea avanzata dai due ricercatori. Tusa e con lui la soprintendenza non sono però d’accordo e sono orientati a credere che si tratti di un sito agro pastorale del Settecento. Senza nessuna pronuncia ufficiale, fino ad oggi, il sito ha intanto un nome: ovvio che sia stato battezzato Pietra Tara. E ha anche una sua mappa con le sette zone censite. Il primo è l’Approdo. C’è poi il monolite del Corridoio, dunque il cuore del sito, ovvero Pietra Tara, il monolite del Baluardo, quindi il monolite Ciaccato. Un gigantesco masso scolpito, con una fenditura diagonale e un gradino ricavato dal pieno. Che mantiene come gli altri massi di questa Stonehenge nostrana la caratteristica della faccia piatta rivolta al mare. Digradando verso il Malopasso, il sesto ambito, c’è ancora un monolite che impressiona per una cavità in basso e un masso per terra che corrisponde in tutto alla fenditura della roccia. Una chiusura, la porta di una tomba? “Ipotesi che mettiamo a disposizione di studiosi e ricercatori e di chi abbia voglia di sciogliere l’arcano”, si limita a dire con prudenza Francesca Mercadante. Che all’ipotesi lavora da due anni giungendo a un tesi che per alcuni è azzardato, per altri un dubbio che forse solo una campagna di scavi scioglierebbe. Per il settimo ambito di quello che sembra essere l’ennesimo quartiere di una cittadella fortificata sul fronte del mare, protetta dalla montagna alle spalle, la geometria subisce una lieve modifica, con l’infittirsi delle delimitazioni in pietra che però procedono a sbalzi copiando l’andamento del terreno, fino alla frana della Mezzaluna che rovina direttamente a mare. Per i sostenitori dell’ipotesi millenaria, difficile si tratti solo di terrazzamenti e ricoveri agro-pastorali, difficile immaginare che di fronte ai monoliti le Ere abbiano riproposto a distanza di centinaia di metri rocce con le medesime caratteristiche e uguali disposizioni. Appassionante come un giallo al retrovisore, la ricerca è ora al punto fermo del discovery. Oggi Anati e con lui gli studiosi, che hanno accettato di vedere il gioco serissimo di Mercadante e Lo Cascio aggiungeranno forse un tempo e una datazione possibile a tutto questo. L’idea è che ci trovi di fronte a un villaggio, con i camminamenti, a disegnare i volumi di abitati, con il culto dei morti e la simbologia della vita e del passaggio che parla attraverso le pietre. Poca ceramica, è vero in quel sito, e quel poco è punica. Ma se fosse solo l’indizio di un insediamento successivo, comunque del Quinto-Terzo secolo Avanti Cristo, su un’area già vissuta millenni prima? Solo la voglia di confrontarsi darebbe risposte. Tanto più che all’ipotesi su quel che può diventare una scoperta, Mercadante e Lo Cascio arrivano portando il peso di una ricerca di trent’anni con l’elenco, le caratteristiche, le mappe di una corposa bibliografia di oltre sessanta siti censiti (I Beni Archeologici di Monte Gallo) da Grotta Regina fino alle necropoli dell’interno di Piano Gallo. Pietre che parlano già chiaro lungo i crinali di quella montagna muta.
Stonehenge a Capo Gallo di Enrico Bellavia La Repubblica 5 Novembre 2005